Cartella clinica – Non sempre è necessario presentare querela di falso

Non sempre è necessario presentare querela di falso quando la cartella clinica attesti fatti non conformi al vero, realizzando così una fattispecie gravissima di malasanità.

Normalmente, per togliere validità ai fatti attestati nella cartella clinica, occorre proporre querela di falso. Ciò – quasi sempre – comporta la sospensione del processo sino a quando la verità del documento non sia stata accertata con sentenza passata in giudicato.

Tuttavia non sempre è necessario la proposizione della querela di falso.

Le attestazioni della cartella clinica, sebbene riguardanti fatti avvenuti alla presenza di un pubblico ufficiale o da lui stesso compiuti, in base al principio secondo il quale nessuno può precostituire prova a favore di sé stesso, non costituiscono prova piena di chi le ha redatte, quando si discute della sua responsabilità o di quella di un altro soggetto che debba rispondere per quei fatti dal soggetto certificante riportati nell’atto pubblico.

Così testualmente Cass. Civ. Sez. III, 27.09.1999, n. 10695:

            “in ogni caso tali attestazioni non sono vincolanti allorchè venga in contestazione la responsabilità della persona medesima che le ha redatte, dato il principio che nessuno può precostituirsi prova a favore di sé stesso (Cass. 18.09.1980, n. 5296).

In ogni caso la cartella clinica non fa piena prova a favore di chi l’ha redatta, neanche per i fatti ivi indicati come compiuti alla presenza del p.u. o da questi, allorchè venga in discussione la sua responsabilità.

Infatti il presupposto del carattere vincolante dell’atto pubblico è la terzietà del pubblico ufficiale nella sua funzione certificante con effetti probatori, requisito che non può sussistere allorchè si ponga in discussione la responsabilità della persona medesima che ha redatto l’atto non essendo concepibile che il soggetto sia la fonte di una prova a suo favore con carattere vincolante.

Detta responsabilità può essere posta in discussione non solo agendo direttamente nei confronti del p.u., ma anche allorchè si agisce nei confronti di altro soggetto che deve rispondere per i fatti del soggetto certificante, riportati nell’atto pubblico (artt. 1228 e 2049 cc.): anche in questo caso, infatti, il giudizio presuppone l’accertamento della responsabilità del pubblico ufficiale che ha redatto l’atto pubblico.

Ne consegue che in dette ipotesi non è necessario, in applicazione della disciplina di cui agli artt. 2699 e 2700 c.c., l’esperimento del rimedio della querela di falso, qualora la parte che affermi la responsabilità del p.u., intenda contestare i fatti indicati nell’atto, escludenti detta responsabilità.

Nella fattispecie, pertanto, è errata la sentenza impugnata nella parte in cui ritiene che è inammissibile la prova testimoniale, diretta a far valere fatti contrari a quanto risultante dalla cartella clinica, dovendo la stessa essere impugnata con querela di falso, poiché questa sentenza ha ad oggetto la responsabilità della USL, quale effetto dell’assunta responsabilità professionale del soggetto che ha redatto la cartella clinica. (nello stesso senso anche Cass. 18.09.1980, n. 5296; Trib. Monza, 07 maggio 2013, n. 1250; Trib. Modena, Giudice dott. Cigarini, 24 agosto 2004).

I fatti riportati in cartella clinica dunque possono – quando si discuta della responsabilità dell’estensore o di altro soggetto che per quei fatti debba rispondere (art. 1228 cod. civ.) – essere smentiti da prove meritevoli di attenzione offerte dalla parte o rinvenibili nella cartella clinica stessa o altrove”.

 

Avv. Franco Di Maria                                 Avv. Vincenza Pinò

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