Esiste il diritto all’autodeterminazione del neonato e qual è l’interesse superiore del minore? E chi lo decide?

A nostra conoscenza non esistono precedenti in termini editi in Italia. Il caso Englaro è quella che più si avvicina e, tuttavia, non è al nostro assimilabile.

La Suprema Corte, infatti[1], ha stabilito che il tutore (o l’amministratore di sostegno o i genitori) possono chiedere l’autorizzazione al giudice (di procedere a cure palliative e interrompere le terapie in atto), ed è il  giudice che deve verificare

a) il carattere irreversibile della malattia e

b) l’esistenza di una volontà dell’interessato esplicitamente manifestata, o anche implicitamente, ma inequivocabilmente risultante dalle sue convinzioni, dal suo stile di vita, dalla sua complessiva personalità.

E’ evidente però che in un neonato di pochi giorni tali valutazioni risultano impossibili.

Ci sembra dunque di dover volgere lo sguardo alla vicenda di Charlie Gard, il bambino inglese il cui caso è finito alla Corte di Strasburgo.

La vicenda ha riguardato un neonato inglese al quale era stata diagnosticata una rara malattia genetica che porta al malfunzionamento di alcuni organi vitali oltre ad una encefalopatia che gli procura un danno cerebrale irreversibile.

In assenza di una reale prospettiva di cura dello stato di salute del malato, l’ospedale inglese ha deciso di sospendere i trattamenti.

A questa decisione si sono opposti i genitori.

Dopo tre gradi di giudizio tutti conclusisi con l’accoglimento delle ragioni dei medici inglesi convinti che non fosse nel best interest of child continuare la terapia ma fosse necessario passare a cure palliative, i genitori si sono rivolti alla Corte di Strasburgo.

Con provvedimento del 27 giugno 2017[2] la Corte, con votazione a maggioranza, ha ritenuto infondato il ricorso dei coniugi inglesi e ha ordinato che il minore fosse accompagnato al decesso.

Nel caso di specie la Corte ha rilevato che le decisioni assunte dai tribunali inglesi in tre gradi di giudizio erano meticolose ed accurate e, ciò premesso, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dai genitori perché “non spetta alle Corte EDU sostituirsi alle competenti autorità nazionali ma verificare che abbiamo agito nell’esercizio del proprio margine di apprezzamento”.

La scelta di decidere di non decidere si giustifica sul richiamo al sefl-restraint, e cioè a quel margine di apprezzamento invocato dalla Corte laddove non vi sia un consenso tra gli Stati tanto con riferimento agli interessi in gioco quanto al modo migliore di tutelarli[3].

Tuttavia le questioni portate all’esame dalla Corte e, quindi, l’esercizio del diritto all’autodeterminazione del minore incapace di esprimere consenso o dissenso alle cure, nonché alla valutazione del best interest of child,  si radica oggi nella legislazione familiare e minorile della maggior parte dei paesi occidentali[4].

Laddove dunque si tratti di un minore, stante la sua incapacità di decidere, il consenso agli interventi diagnostici e/o terapeutici deve essere espresso dai genitori o da un suo rappresentante legale.

Ed infatti, nella Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina di Oviedo, 4 aprile 1997, si dichiara all’art. 6.2: “Quando secondo la legge un minore non ha la capacità di dare il suo consenso a un intervento, questo non può essere effettuato senza l’autorizzazione del suo rappresentante, dell’autorità o di una persona o un tutore designato dalla legge.”.

Nel nostro ordinamento, l’art. 4 del D.M. 1.9.1995 stabilisce che “se il paziente è un minore il consenso deve essere rilasciato da entrambi i genitori”. E, laddove sorgesse un conflitto tra genitori e sanitari, la decisione sarebbe rimessa all’autorità giudiziaria.

D’altronde l’art. 33 del Codice di Deontologia Medica del 2014, attualmente in vigore, stabilisce:

Allorchè si tratti di minore… il consenso agli interventi diagnostici e terapeutici, nonché al trattamento dei dati sensibili, deve essere espresso dal rappresentante legale. In caso di opposizione da parte del legale rappresentante al trattamento necessario e indifferibile a favore di minori o incapaci, il medico è tenuto a informare l’autorità giudiziaria.”.

 

Avv. Franco Di Maria

Avv. Vincenza Pinò


[1] Cass. n. 21748/2007

[2] Corte EDU, Sez. I, Charlie Gard and others v. United Kingdom, ric. n. 39739-17, testo integrale della decisone reperibile sul sito www.echr.coe.int.

[3] Stefania Schettino “Il diritto di autodeterminazione e la rappresentanza dell’interesse del minore. Brevi note sul (triste) caso di Charlie Gard”, in Diritti fondamentali.it. Fascicolo 2/2017

[4] Tale principio lo troviamo ampiamente sancito nella Convenzione della Nazioni Unite sui diritti del fanciullo di New York del 1989, ratificata in Italia con L. n., 176 del 1991, nella Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo di Strasburgo del 1996, ratificata e resa esecutiva in Italia attraverso la L. n. 77 del 2003, nonché nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea proclamata a Nizza nel 2000. In particolare l’art. 3 delle Convenzioni Onu del 1989 nella sua formulazione, dichiara che il criterio del best interest of child va preservato in ogni situazione giuridica in cui lo stesso risulti essere in contrapposizione con interessi vantati da altri soggetti. La disposizione vuole riconoscere al minore uno status autonomo ed indipendente rispetto alle altre posizioni rilevanti nonché l’impegno da parte degli Stati di vigilare sul rispetto di tale principio.

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