Legge 8 marzo 2017 – Ibis redibis non morieris in bello
La Legge 8 marzo 2017, n. 24 (cosiddetta legge Gelli-Bianco): un esempio di analfabetismo, purtroppo non solo giuridico.
Ibis redibis non morieris in bello. Il responso della Sibilla cumana – al confronto della legge Gelli – appare un raro esempio di univoca chiarezza! Peccato però che a far le spese di una legge che, a pieno titolo, potrebbe entrare nel museo degli orrori del diritto, saranno i due protagonisti di questa amena riforma: i medici e i pazienti.
La nuova disciplina di “disarticolante contraddittorietà” (così testualmente Cassazione penale, 7 giugno 2017, n. 28187) si propone il dichiarato obiettivo di garantire la sicurezza delle cure e di debellare la “medicina difensiva”, ossia la prescrizione di esami inutili che i medici sarebbero indotti ad effettuare nel timore di essere oggetto di denunce da parte dei pazienti.
Per far credere all’opinione pubblica che il primo obiettivo – quello della sicurezza delle cure – era stato raggiunto, non si è trovato niente di meglio che esercitarsi in solenni, roboanti affermazioni di principio, svuotate però di qualunque concreto contenuto.
Per conseguire il secondo risultato (sconfiggere la “medicina difensiva” e, conseguentemente, ridurre i costi del servizio sanitario nazionale) il dichiarato proposito era quello di “alleggerire” la responsabilità penale dei medici.
Analizziamo pochi ma qualificanti punti di questo salvifico intervento legislativo.
Sicurezza delle cure, Garante della salute, Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla salute nella sanità, trasparenza dei dati (articoli da 1 a 4).
Si tratta di norme puramente declamatorie senza alcuna efficacia pratica. Vediamo.
L’art. 2 – nel prevedere l’istituzione del Garante della Salute, compito da affidarsi al Difensore Civico Regionale – dispone laconicamente che le Regioni “possono” affidare tale incarico al Difensore, così di fatto rimettendo alla loro diligenza e buona volontà la concreta attuazione di tale altisonante figura di garanzia.
L’art. 3 dispone che – previa intesa tra Stato, Regioni e le provincie autonome di Trento e Bolzano e senza maggiori oneri per la finanza pubblica – venga istituito l’Osservatorio Nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità. E’ agevole prevedere che – dati i presupposti – tale norma rimarrà tra i buoni propositi inattuati della riforma.
L’art. 4, meritoriamente, prevede che la documentazione sanitaria debba essere fornita al paziente entro sette gironi dalla richiesta, giorni che però possano diventare trenta per eventuali integrazioni. E quale sanzione è prevista – si chiede l’ingenuo paziente – nel caso in cui la struttura sanitaria non adempia ai propri obblighi nei tempi previsti? Ovviamente nessuna, è la risposta: si tratta di un obbligo che non prevede sanzioni per la sua trasgressione. Fattispecie, quest’ultima, di grande efficacia dissuasiva, come ognuno sa.
Responsabilità penale dei sanitari
Si trattava di “alleggerirla” – come si è già detto – per contrastare la “medicina difensiva”.
Bene. L’art. 3, comma 1, della Legge 8 novembre 2012, n. 189 (cosiddetta legge Balduzzi) aveva operato la distinzione – a proposito dei sanitari che si fossero attenuti alle linee guida e alle buone pratiche – tra colpa lieve e colpa grave, decriminalizzando le condotte connotate da colpa lieve. Insomma, residuava la responsabilità penale solo per colpa grave.
Ora, la nuova legge Gelli-Bianco ha abrogato l’art. 3, comma 1, della Balduzzi implicando “la reviviscenza, sotto tale riguardo, della previgente, più severa normativa che, per l’appunto, non consentiva distinzioni connesse al grado della colpa” (Cassazione penale, 7 giugno 2017, n. 28287 già citata).
Conclusione. La normativa precedente – lo dice la Suprema Corte – era più favorevole ai medici perché ne limitava la responsabilità penale ai soli casi di colpa grave mentre ora essi rispondono penalmente anche per colpa lieve.
Azione di rivalsa nei confronti dei sanitari
Sempre nel lodevole intento di limitare la responsabilità – anche economica – dei sanitari, l’art. 9 della Gelli-Bianco prevede (o, meglio, vorrebbe prevedere) che l’azione di regresso nei loro confronti (ove sia stata accertata la loro responsabilità per dolo o colpa grave) non possa superare una somma pari a 3 volte il valore della retribuzione lorda annua. Così, se un medico percepisse una retribuzione lorda annua di € 50.000, l’azione di rivalsa nei suoi confronti non potrebbe superare i 150.000 euro (50.000 x 3 = 150.000).
Questo l’obiettivo dichiarato. Ma cosa dice esattamente la norma? Essa prevede che la retribuzione lorda annua (nell’esempio precedente: € 50.000) debba essere “moltiplicata per il triplo”.
E allora: 50.000 x 150.000 (il triplo) = 7 miliardi e 500 mila euro.
Niente male come limitazione della responsabilità civile!
Parafrasando Pericle si potrebbe dire che se ad Atene le leggi non le fanno i sellai a Roma, forse, non siamo altrettanto fortunati.
Avv. Franco Di Maria Avv. Vincenza Pinò