Legge Gelli sulla responsabilità sanitaria – Norme declamatorie e norma propaganda
La legge Gelli sulla responsabilità sanitaria: brevi riflessioni a quasi due anni dalla sua entrata in vigore
SECONDA PARTE
N.B: Come abbiamo avvertito, stiamo dedicando cinque articoli alla legge Gelli.
Questo è il secondo. Consigliamo di leggere anche il primo
Norme declamatorie e norma propaganda
Una prima categoria di norme le potremmo definire declamatorie, o norme propaganda, norme cioè che – al di là dell’effetto annuncio – non modificano in niente la situazione precedente.
Appartengono a questa categoria le seguenti disposizioni della legge (tanto per citarne alcune).
1. Il 2° comma dell’art. 4 della legge prevede l’”obbligo” per la struttura pubblica o privata di consegnare agli interessati, entro 7 giorni dalla richiesta, la documentazione sanitaria (cartella clinica, ecc). Eventuali integrazioni devono, per legge, essere fornite entro il termine massimo di 30 giorni dalla richiesta.
Già, ma che succede se la struttura sanitaria non fornisce al richiedente la documentazione entro i termini fissati dalla legge?
Non succede assolutamente nulla!
Come accadeva prima della “svolta storica” rappresentata dalla L. 24/2017, l’interessato dovrà rivolgersi al T.A.R. per poter acquisire la documentazione.
2. Prima della legge Gelli l’autopsia poteva essere disposta o dalla Procura della Repubblica o dal Direttore sanitario della struttura. Ora però la legge – all’art. 4, comma 4° – prevede: “che i familiari o gli altri aventi titolo del deceduto possono concordare con il direttore sanitario o socio sanitario l’esecuzione del riscontro diagnostico (n.d.r. autopsia), sia in caso di decesso ospedaliero che in altro luogo, e possono disporre la presenza di un
medico di loro fiducia”.
A prescindere dall’ermetismo del lemma “aventi titolo” (chi sarebbero questi aventi titolo?) la legge prevede la possibilità di “concordare” l’autopsia con il direttore sanitario.
Ora, il “concordare” indica una facoltà e non un obbligo per il direttore sanitario.
E allora, cosa accade se il direttore sanitario (magari perché a conoscenza di responsabilità professionale dei medici del “suo” ospedale) non “concorda” con i familiari sull’esecuzione del riscontro diagnostico?
Assolutamente niente, ovviamente!
Come prima, sarà necessario rivolgersi alla Procura della Repubblica competente.
3. Molto opportunamente l’art. 15 della legge prevede che “l’autorità giudiziaria affida l’espletamento della consulenza tecnica e della perizia a un medico specializzato in medicina legale e a uno o più specialisti nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento”.
Già, ma quali sono le conseguenze processuali (invalidità della consulenza tecnica, per esempio) se il giudice nomina un solo esperto, oppure sceglie un consulente che non abbia – come vuole la legge – “specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento?”
Si tratta palesemente di un obbligo senza sanzione e, in ipotesi di sua trasgressione, ancora una volta, non accade assolutamente nulla.
Norme che denotano balbuzie giuridica
Un secondo gruppo di norme (e ve ne sono diverse) appartiene a una categoria che potremmo definire di “balbuzie giuridica”, deficit del tutto irrilevante normalmente ma preoccupante quando afferisce al legislatore.
L’art. 9 della legge in commento si occupa dell’azione che definisce di “rivalsa” verso l’esercente la professione sanitaria in caso di condanna ottenuta dal paziente danneggiato.
L’azione può essere esercitata tanto nei confronti dei dipendenti di strutture private quanto di quelle pubbliche. La differenza consiste nel fatto che in ambito privato agisce la stessa struttura sanitaria mentre in ambito pubblico l’azione spetta al pubblico ministero presso la Corte dei Conti.
Ciò posto, nessuno si meraviglierebbe se in un bar due avventori usassero come fungibili e sinonimi i sostantivi “rivalsa” e “regresso”.
Ma il diritto è sostanzialmente linguaggio.
E allora vedere definito, in un testo legislativo, come “rivalsa” ciò che – invece – è “regresso” (non è questa la sede per delucidare la differenza) induce il giurista a un profondo sconforto.
Norme divertenti
Un terzo gruppo di norme, oltre a destare una incontenibile ilarità, denota anche una avvilente ignoranza non solo del diritto ma persino della lingua italiana.
E ancora il caso dell’art. 9 della legge in commento.
Nel lodevole intento di limitare la responsabilità – anche economica – dei sanitari, l’art. 9 della Gelli-Bianco prevede (o, meglio, avrebbe voluto prevedere) che l’azione di regresso nei loro confronti (ove sia stata accertata la loro responsabilità medica per dolo o colpa grave) non possa superare una somma pari a 3 volte il valore della retribuzione lorda annua. Così, se un medico percepisse una retribuzione lorda annua di € 50.000, l’azione di regresso nei suoi confronti non potrebbe superare i 150.000 euro (50.000 x 3 = 150.000).
Questo l’obiettivo dichiarato. Ma cosa dice esattamente la norma? Essa prevede che la retribuzione lorda annua (nell’esempio precedente: € 50.000) debba essere “moltiplicato per il triplo”.
E allora: 50.000 x 150.000 (il triplo) = 7 miliardi e 500 mila euro.
Niente male come limitazione della responsabilità civile!
Parafrasando Pericle si potrebbe dire che se ad Atene le leggi non le fanno i sellai a Roma, forse, non siamo altrettanto fortunati.
L’errore sarà poi corretto da una legge ad hoc.
Ma veniamo ora all’essenza della legge e cioè al dichiarato obiettivo di arginare la cosiddetta medicina difensiva e attenuare la responsabilità – soprattutto penale – del personale sanitario.
Avv. Franco Di Maria Avv. Vincenza Pinò
Continua nella terza parte