Malasanità e Tribunale competente
Malasanità e Tribunale Competente – Qual è il Tribunale competente per territorio nei giudizi di malasanità oltre al foro generale delle persone fisiche (art. 18 cpc) e a quello generale delle persone giuridiche (art. 19 cpc)? Problematiche attinenti al cosiddetto foro per le cause relative a diritti di obbligazione (art. 20 cpc)
Malasanità e Tribunale Competente
L’art. 20 cod. proc. civ. individua, per le cause relative a diritti di obbligazioni, due fori speciali facoltativi: quello del luogo in cui è sorta l’obbligazione (forum contractus per le obbligazioni contrattuali; forum commissi delicti per le obbligazioni derivanti da fatto illecito); e quello del luogo ove la stessa deve essere eseguita (forum destinatae solutionis).
Per quanto riguarda il primo foro speciale (forum commissi delicti) e sempre ai fini dell’individuazione del luogo ove è sorta l’obbligazione dedotta in giudizio, obbligazione da fatto illecito, essa “sorge nel luogo in cui il fatto produttivo di danno si verifica e nella nozione di fatto rientra, oltre al comportamento illecito, anche l’evento dannoso che ne deriva. Pertanto, qualora i due luoghi non coincidano, il forum delicti, previsto dall’art. 20 cpc, deve essere identificato con riguardo al luogo in cui è avvenuto l’evento”. (Cass. 20.09.2004, n. 18906).
Per quanto riguarda il secondo foro speciale (forum destinatae solutionis), ai sensi del combinato disposto dell’art. 20 cod. proc. civ. e dell’art. 1182 cod. civ., la giurisprudenza assolutamente prevalente della Suprema Corte ha sempre precisato che l’art. 1182, 3° comma, secondo cui l’obbligazione avente ad oggetto una somma di denaro deve essere adempiuta al domicilio del creditore, si applica esclusivamente nel caso in cui l’obbligazione abbia per oggetto una somma già determinata nel suo ammontare, ovvero quando il credito in danaro sia determinabile in base ad un semplice calcolo aritmetico e non si renda necessario procedere ad ulteriori accertamenti; quando invece la somma deve essere ancora liquidata dalle parti, o, in loro sostituzione dal giudice mediante indagini ed operazioni diverse dal semplice calcolo aritmetico, trova applicazione il quarto comma dell’art. 1182, secondo cui l’obbligazione deve essere adempiuta al domicilio che il debitore ha al tempo della scadenza (Cass. civ. Sez. III, 13 maggio 2004, n. 9092; Cass. civ. Sez. III, 18 marzo 1994, n. 2596; Cass. civ. Sez. II 27 gennaio 1996, n. 633; Cass. Sez II, 16 aprile 1999, n. 3808; Cass. civ. III, 26 luglio 2001, n. 10226; Cass. civ. Sez. II, 14 maggio 2002, n. 7021; Cass. civ. Sez. III, 22 maggio 2003, n. 8121; Cass. civ. Sez. III, 24 ottobre 2007, n. 22326).
Vi era, tuttavia, un secondo orientamento (assolutamente minoritario) che sosteneva invece che il forum destinatae solutionis di cui all’art. 1182, comma 3°, è applicabile in tutte le cause aventi ad oggetto una somma di danaro qualora l’attore abbia richiesto il pagamento di una somma determinata, atteso che la maggiore o minore complessità dell’indagine sulla determinazione dell’ammontare effettivo del credito, attiene esclusivamente alla successiva fase di merito non incidendo così sulla competenza territoriale (Cass. n. 7474/2005; Cass. n. 12455/2010; Cass. n. 10837/2011).
Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 17989 del 13.09.2016 hanno risolto il contrasto interpretativo esistente sul punto e, aderendo all’indirizzo prevalente, hanno stabilito che – per gli effetti di cui al combinato disposto degli artt. 1182, comma 3, cod. civ. e 20 cod. proc. civ. – si richiede l’effettiva liquidità della prestazione in base al titolo.
La Sesta Sezione, con ordinanza del 17.11.2015 n. 23527, consapevole del contrasto interpretativo esistente sul punto, rimetteva gli atti al Primo Presidente al fine di sollecitare un intervento del supremo Consesso proprio sulla questione relativa all’applicabilità o meno dell’art. 1182, co. 3 c.c. nei casi in cui l’importo del corrispettivo di una prestazione non risultasse predeterminato ma venisse fissato autonomamente dall’attore nell’atto in cui fa valere la propria pretesa creditoria.
La Sezione rimettente, in primo luogo, dava conto dell’esistenza di interpretazioni non uniformi sulla disposizione citata.
Come si diceva, un certo orientamento giurisprudenziale, assolutamente prevalente, circoscriveva la portata dell’art. 1182, comma 3 c.c. alle sole obbligazioni aventi ad oggetto debiti pecuniari certi, liquidi ed esigibili, relativi cioè a somme di denaro determinate o determinabili, laddove, però, tale attività di determinazione fosse riducibile ad un semplice calcolo aritmetico basato su dati già pre-individuati dalle parti, dalla legge o dagli usi.
Da ciò si ricavava l’ulteriore conclusione per cui tutte le volte in cui l’obbligazione pecuniaria non presentasse tali caratteri, la stessa avrebbe cessato di essere sottoposta alla regola generale della portabilità e avrebbe assunto i connotati di una obbligazione querable con fondamentali conseguenze sul piano pratico (la mora non sarebbe più ex re ma diventerebbe ex persona, con necessità di un atto di costituzione in mora da parte del creditore e muterebbe, poi, il giudice compente ai sensi dell’art. 20 c.p.c.).
Un altro orientamento, invece, minoritario tra le corti di legittimità, basandosi su una interpretazione letterale dell’art. 1182, comma 3, rifiutava l’opinione dominante che pretendeva di restringere irragionevolmente la portata applicativa della norma, atteso che non si riscontrava – nel dato positivo – alcun elemento utile a legittimare una simile impostazione.
Preso atto delle differenti posizioni emerse nel dibattito giurisprudenziale e dottrinale, le Sezioni Unite, nella sentenza in esame, affermano di dovere aderire all’indirizzo tradizionale; che, al fine di qualificare l’obligazione come portabile (per gli effetti di cui al combinato disposto degli artt. 1182, co. 3 c.c. e 20 c.p.c.), richiede l’effettiva liquidità della prestazione in base al titolo.
La Corte rileva che la particolarità delle obbligazioni pecuniarie illiquide consiste nel fatto che, ai fini dell’adempimento del debitore, è necessario un ulteriore titolo, convenzionale o giudiziale, il che assume una portata fondamentale se solo si ha riguardo a quanto già accennato in precedenza, e cioè che la natura “portabile” o “chiedibile” di un’obbligazione rileva anche in tema di mora.
L’art. 1129, comma 2 n. 3 (c.d. mora ex re) esclude la necessità della costituzione in mora quando l’obbligazione debba essere adempiuta presso il domicilio del creditore, quando cioè essa sia portable.
Ebbene, la Cassazione nega che tale disposizione si applichi anche alle obbligazioni pecuniari illiquide, perché se così fosse, si osserva, “la mora – e con essa la responsabilità ex art. 1224 c.c. – scatterebbe automaticamente anche a carico del debitore la cui prestazione non sia in concreto possibile” a causa dell’incertezza del relativo ammontare, il che sarebbe ingiustificato, oltre che illogico, posto che in base alla regola generale di cui all’art. 1218 c.c., è esclusa la responsabilità del debitore la cui prestazione sia impossibile per causa a lui non imputabile.
Per tali motivi, la Corte conclude affermando che “le indicate esigenze di protezione del debitore richiedono evidentemente che la liquidità del credito sia ancorata a dati oggettivi, mentre sarebbero frustrate se esse si facessero coincidere con la pura e semplice precisazione, da parte dell’attore, della somma di denaro dedotta in giudizio, pur in assenza di indicazioni nel tiolo. In tal modo non il dato oggettivo della liquidità del credito radicherebbe la controversia presso il forum creditoris, bensì il mero arbitrio del creditore stesso, il quale scelga di indicare una determinata somma come oggetto della sua domanda giudiziale, con conseguente lesione anche del principio costituzionale del giudice naturale”.
Avv. Franco Di Maria Avv. Vincenza Pinò