Responsabilità penale del medico – Cosa dice la Legge Gelli?

La legge Gelli sulla responsabilità sanitaria: brevi riflessioni a quasi due anni dalla sua entrata in vigore

 

TERZA PARTE

 

N.B: Come abbiamo avvertito, stiamo dedicando cinque articoli alla legge Gelli.

Questo è il terzo. Consigliamo di leggere anche i precedenti

 

La responsabilità penale del medico dopo la legge n. 24/2017        

 

 

Nelle intenzioni del legislatore limitare la responsabilità (soprattutto penale) del medico  costituiva lo strumento principale per arginare la medicina difensiva. Se il sanitario, infatti, non avesse avuto più timore delle conseguenze giudiziarie del suo operato (questo il ragionamento), non sarebbe stato spinto a procedere a indagini e terapie inutili, prescritte al solo scopo di non vedersi poi contestare in giudizio scelte di diagnosi e di cure insufficienti e inadeguate [1].

Si tratta allora di vedere se la novella del 2017 abbia alleggerito la posizione penale dei sanitari rispetto alla disciplina previgente contenuta nell’art. 3 del D.L. n. 189/2012 (cosiddetto decreto Balduzzi).

Ricordiamo che il decreto Balduzzi prevedeva che il medico che avesse rispettato, nello svolgimento della propria attività, le linee guida e le buone pratiche, rispondeva dei reati colposi eventualmente commessi soltanto per colpa grave e non già per colpa lieve.

La legge Gelli – Bianco ha invece introdotto nel codice penale l’art. 590 sexies che disciplina ora la responsabilità penale del medico prevedendo una causa di esclusione della punibilità del sanitario. Stabilisce il nuovo articolo:

Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia” e il sanitario abbia “rispettato le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”, sussiste una causa di non punibilità del medico.

            Quali di queste due normative (decreto Balduzzi e legge Gelli) costituisce la disciplina penale più favorevole ai sanitari?

Dopo un acceso contrasto in seno alla stessa Suprema Corte (di cui non è il caso di dar conto in questa sede se non per ricordare che Cassazione n. 28187/2017 definiva la Gelli “una legge di disarticolante contraddittorietà), le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 8770/2018) hanno infine individuato la legge più favorevole stabilendo quanto segue.

  1. L’art. 3 della Legge 185/2012 (cosiddetta Balduzzi) è più favorevole rispetto a quella dettata dall’art. 590 sexies c.p. per i comportamenti del medico perpetrati prima della legge Gelli-Bianco e connotati da colpa, anche lieve, per negligenza o imprudenza. Infatti soltanto il decreto Balduzzi prevedeva l’esclusione della responsabilità nei casi in cui fossero state rispettate le linee guida o le buone pratiche.
  2. Con riferimento alla colpa, “anche lieve”, dettata da imperizia occorre distinguere:
    a) il caso in cui l’errore riguardi la fase selettiva delle linee guida in relazione al caso concreto; in questa ipotesi risulta più favorevole l’art. 3 del decreto Balduzzi dal momento che la novella del 2017 non esclude la punibilità.
    b) il caso in cui l’errore riguardi l’esecuzione dell’intervento; in tale ipotesi anche l’art. 590 sexies prevede l’esenzione di responsabilità esattamente come l’abrogato art. 3 della Legge Balduzzi.

Come si vede la disciplina previgente in tema di malasanità continua ad essere reputata la più favorevole ai sanitari così di fatto frustrando entrambi gli obiettivi della legge: quello di attenuare e alleggerire la responsabilità (soprattutto penale) dei sanitari e, di conseguenza, quello di arginare la cosiddetta medicina difensiva.

L’effetto placebo di cui parlava il Presidente Cisterna si palesa appunto per tale.

Avv. Franco Di Maria                                                         Avv. Vincenza Pinò

 

Continua nella quarta parte

[1] A questo proposito, vale però la pena di citare un dato; soltanto il 2% delle cause penali per responsabilità sanitaria si conclude con la condanna definitiva degli imputati, mentre in sede civile tale percentuale sale al 30%. (Domenico Chindemi, presidente VI Sezione Suprema Corte di Cassazione Relazione del 26 giugno 2017). La motivazione di questo scarto va rinvenuta nel fatto che processo penale e processo civile divergono radicalmente in tema di nesso eziologico e di prova. Nel primo (quello penale) occorre sia fornita la prova “oltre ogni ragionevole dubbio”, mentre in ambito civile vige il diverso principio del “più probabile che non”, ovvero della prevalenza probabilistica rispetto alla quasi certezza.

By Published On: Marzo 6th, 2019Categories: Flash News, Sanità italianaTags:

Post Recenti

Post Correlati